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La figura di Giulio Pezzola domina incontrastata la scena del banditismo operante nella prima metà del Seicento nell'Italia centromeridionale. Egli «non è il ribelle dell'oleografia tradizionale e del populismo contemporaneo, è un figlio risoluto ed energico di quella vasta "terra di nessuno" che da sempre è stata la montagna di frontiera tra il Regno di Napoli e lo Stato ecclesiastico, un'atmosfera congenita di contrabbando, di fuoruscitismo, ma anche di contrasti sociali tra pastorizia ed agricoltura, per l'irrigazione o per il bosco, per la privatizzazione della terra contro gli usi comunitari».